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Scultori, Architetti, Pittori
[1] (Firenze, 1377 – 15 aprile 1446), è stato un architetto, ingegnere, scultore, orafo e scenografo italiano del Rinascimento.
Filippo Brunelleschi, per esteso Filippo di ser Brunellesco LapiFu uno dei tre primi grandi iniziatori del Rinascimento fiorentino con Donatello e Masaccio. In particolare Brunelleschi, che era il più anziano, fu il punto di riferimento per gli altri due e a lui si deve l'invenzione della prospettiva a punto unico di fuga, o "prospettiva lineare centrica"[2]. Dopo un apprendistato come orafo e una carriera come scultore si dedicò principalmente all'architettura, costruendo, quasi esclusivamente a Firenze, edifici sia laici sia ecclesiastici che fecero scuola. Tra questi spicca la cupola di Santa Maria del Fiore, un capolavoro ingegneristico costruito senza l'ausilio delle tecniche tradizionali, quali la centina.
Con Brunelleschi nacque la figura dell'architetto moderno che, oltre ad essere coinvolto nei processi tecnico-operativi, come i capomastri medievali, ha anche un ruolo sostanziale e consapevole nella fase progettuale: non esercita più un'arte meramente "meccanica", ma è ormai un intellettuale che pratica un'"arte liberale", fondata sulla matematica, la geometria, la conoscenza storica[2].
La sua architettura si caratterizzò per la realizzazione di opere monumentali di ritmata chiarezza, costruite partendo da una misura di base (modulo) corrispondenti a numeri interi, espressi in braccia fiorentine, da cui ricava multipli e sottomultipli per proporzionare un intero edificio. Riprese gli ordini architettonici classici e l'uso dell'arco a tutto sesto, indispensabili per la razionalizzazione geometrico-matematica delle piante e degli alzati[2]. Un tratto distintivo della sua opera è anche la purezza di forme, ottenuta con un ricorso essenziale e rigoroso agli elementi decorativi. Tipico in questo senso fu l'uso della grigia pietra serena per le membrature architettoniche, che risaltava sull'intonaco chiaro delle pareti[3].
Biografia e opere
Origini e apprendistato (1377-1398)
Filippo Brunelleschi, detto anche dai contemporanei Pippo, era figlio del notaio ser Brunellesco di Filippo Lapi e di Giuliana di Giovanni Spinelli[4]. Più o meno coetaneo di Lorenzo Ghiberti (nato nel 1378) e di Jacopo della Quercia (1371-1374 circa), crebbe in una famiglia agiata, che però non era imparentata con i nobili fiorentini Brunelleschi ai quali è tutt'oggi dedicata una via nel centro di Firenze. Suo padre era un professionista leale e stimato, che spesso venne incaricato di compiere ambascerie, come quella del 1364, quando fu inviato a Vienna a incontrare l'imperatore Carlo IV. La casa di famiglia si trovava nei pressi della chiesa di San Michele Betelde a Firenze (attuale San Gaetano), nella scomparsa piazza degli Agli[4].
Filippo ricevette una buona istruzione come era comune nella borghesia agiata dell'epoca, apprendendo a leggere, a scrivere, a far di conto. Tramite lo studio dell'abaco poté apprendere le nozioni di matematica e geometria pratica che facevano parte del bagaglio conoscitivo di ogni buon mercante, comprese le nozioni di perspectiva, che a quell'epoca indicavano la pratica per calcolare misure e distanze inaccessibili con un rilevamento indiretto. Col tempo la sua cultura dovette arricchirsi delle materie del quadrivio, oltre che dalle letture personali (i testi sacri e Dante in primo luogo) e la conoscenza diretta di personaggi illustri, come Niccolò Niccoli, umanista e bibliofilo, e il politico Gregorio Dati. In quegli anni nacque in lui anche l'interesse per la pittura e il disegno, che diventarono la sua principale inclinazione. Il padre acconsentì alla scelta del figlio, senza insistere nel fargli seguire le sue orme negli studi giuridici, e lo mise a bottega da un orafo amico di famiglia, forse Benincasa Lotti, dal quale Filippo imparò a fondere e gettare i metalli, a lavorare con il cesello, con lo sbalzo, con il niello, a praticare castoni di pietre preziose, smalti e rilievi ornamentali, ma soprattutto praticò approfonditamente il disegno, base per tutte le discipline artistiche[5].
Il suo primo biografo, l'allievo Antonio di Tuccio Manetti, riportò come nel periodo di apprendistato uscirono dalle sue mani orologi meccanici e un "destatoio", una delle prime menzioni documentate di una sveglia[6].
L'altare di San Jacopo (1399-1401)
Per approfondire, vedi le voci Altare argenteo di San Jacopo, San Giovanni Evangelista (Brunelleschi), Sant'Agostino (Brunelleschi) e Geremia e Isaia. |
Verso la fine del secolo il suo apprendistato poteva dirsi concluso. Nel 1398 Filippo si iscrisse all'Arte della Seta, immatricolandosi poi come orafo nel 1404. Tra il 1400 e il 1401 si recò a Pistoia al seguito della bottega di Lunardo di Mazzeo e Piero di Giovanni per lavorare al completamento dell'altare di San Jacopo, un prezioso altare-reliquiario argenteo tuttora conservato nella cattedrale di San Zeno. Nel contratto di allogazione, datato 1399, venne nominato come "Pippo da Firenze", incaricandolo di alcuni lavori in particolare. Alla sua mano sono attribuite le statuette di Sant'Agostino e dell'Evangelista seduto (forse San Giovanni) e due busti entro quadrilobi dei profeti Geremia e Isaia (quest'ultimo non è chiaramente identificato): si tratta delle sue prime opere conosciute. In questi lavori giovanili si nota già un'esecuzione raffinata, con una struttura corporea ben modellata e salda, che dialoga con lo spazio circostante tramite gesti eloquenti e torsioni[7].
Il sacrificio di Isacco (1401-1402)
Per approfondire, vedi le voci Concorso per la porta nord del Battistero di Firenze e Sacrificio di Isacco (Brunelleschi). |
Nel 1401 i Consoli dell'Arte dei Mercatanti indissero il concorso per la realizzazione della seconda porta bronzea del Battistero fiorentino. Venne richiesto ai partecipanti di costruire una formella con il tema del sacrificio di Isacco, disponendovi le figure di Abramo nell'atto di sacrificare il figlio su un altare, l'angelo che interviene per fermarlo, l'ariete che dovrà essere immolato al posto di Isacco e infine il gruppo con l'asino e i due servitori. Brunelleschi divise in due la scena: in basso l'asino, con accanto i servitori, che tendono a debordare fuori dalla cornice. La scena di sinistra è una citazione dello Spinario: questo gruppo forma la base per la costruzione piramidale della parte superiore della formella. Qui, al vertice, è raffigurato lo scontro delle tre volontà dei protagonisti della scena, culminante nel nodo delle mani di Abramo, il cui corpo all'indietro è sottolineato dal fluttuare del suo manto mentre stringe il collo di Isacco, il cui corpo è deformato dal terrore e piegato in senso contrario a quello paterno, mentre l'angelo ferma Abramo afferrandogli il braccio[8].
Nella competizione, secondo il suo primo biografo Antonio Manetti, vinse alla pari con Lorenzo Ghiberti che, però, si rifiutò di collaborare con lui perché i loro stili erano differenti, e il lavoro fu assegnato solamente a Ghiberti, che completò la porta del battistero[9].
Il viaggio a Roma (1402-1404)
Deluso dall'esito del concorso, nel 1402 Brunelleschi si recò a Roma per studiare "l'antico", con Donatello, allora ventenne, con il quale si andava instaurando un intenso rapporto di amicizia. Il soggiorno romano fu cruciale per le vicende artistiche di entrambi. Qui poterono osservare i copiosi resti antichi, copiarli e studiarli per trarre ispirazione. Il Vasari racconta come i due vagassero nella città spopolata alla ricerca di "pezzi di capitelli, colonne, cornici e basamenti di edifizj", mettendosi a scavare quando li vedevano affiorare dal terreno. La coppia veniva chiamata per dileggio "quella del tesoro", poiché si pensava che scavassero alla ricerca di tesori sepolti, e in effetti in qualche occasione rinvennero materiali preziosi, come qualche cammeo o pietra dura intagliata o, addirittura, una brocca piena di medaglie. Entro il 1404 Donatello era già rientrato a Firenze, per collaborare con Ghiberti alla creazione dei modelli in cera per la porta del Battistero. Filippo restò ancora a Roma, pagandosi l'alloggio con saltuari lavori da orafo. Nel frattempo il suo interesse si spostò dalla scultura all'architettura, dedicandosi, sempre secondo il Manetti, allo studio delle tipologie degli edifici romani, cercando di capirne i segreti e i dettagli strutturali. Brunelleschi si concentrò soprattutto sulle proporzioni degli edifici e sul recupero delle tecniche di costruzione antiche. Negli anni successivi dovette tornare a Firenze, dove è documentato ma non in maniera continuativa, spostandosi probabilmente per tornare di nuovo a Roma in più occasioni[10].
Il rientro a Firenze (1404-1409)
Fin dal 1404 venne consultato a Firenze per importanti questioni d'arte, prime fra tutte il cantiere di Santa Maria del Fiore, per il quale fornì consulenze tecniche e modelli, come quello a proposito di un contrafforte (1404)[11].
Gli anni del primo decennio del Quattrocento sono descritti dai biografi con vari aneddoti, come quello del sarcofago romano visto nel duomo di Cortona da Donatello, che Brunelleschi andò seduta stante a copiare, o quello dello scherzo al legnaiolo Manetto di Jacopo Ammannatini detto il Grasso (datato dai biografi al 1409), che per la vergogna avrebbe deciso di emigrare in Ungheria al seguito di Pippo Spano[11].
Il Crocifisso di Santa Maria Novella (1410 circa)
Per approfondire, vedi la voce Crocifisso di Brunelleschi. |
L'attività principale di Brunelleschi fino al 1440 circa fu quella di scultore, e anche dopo la realizzazione dei grandi edifici per cui è maggiormente famoso continuò saltuariamente a ricevere commissioni di scultura.
Le fonti e i documenti ricordano vari lavori scultorei di gioventù, tra le quali una Maria Maddalena per Santo Spirito che non ci è pervenuta, forse distrutta nell'incendio del 1471[12]. Resta invece il Crocifisso databile intorno al 1410-1415.
Vasari riporta con dovizia di particolari un curioso aneddoto sulla reazione di Brunelleschi alla vista del crocifisso di Santa Croce di Donatello, che trovò troppo "contadino" e in risposta al quale scolpì il suo. In realtà gli studi più recenti tendono a smentire l'episodio, collocando le due opere a una distanza tra i due e i dieci anni l'una dall'altra, anche se è molto probabile che i due amici ebbero modo di confrontarsi sul tema[12].
Se il Cristo di Donatello era colto nel momento dell'agonia con occhi semiaperti, bocca dischiusa e corpo sgraziato, quello di Brunelleschi era improntato a una solenne gravitas, con un attento studio delle proporzioni e dell'anatomia del corpo nudo, secondo uno stile essenziale ispirato all'antico. Esso è perfettamente inscrivibile in un quadrato, con le braccia aperte che misurano esattamente quanto l'altezza. Secondo Luciano Bellosi[13] la scultura di Brunelleschi sarebbe "la prima opera rinascimentale della storia dell'arte", punto di riferimento per gli sviluppi successivi di Donatello, Nanni di Banco e Masaccio.
Le statue per Orsanmichele (1412 circa-1415)
Per approfondire, vedi le voci San Pietro (Brunelleschi) e Madonna col Bambino (Brunelleschi). |
Agli inizi del secondo decennio del Quattrocento Brunelleschi e Donatello furono chiamati per partecipare alla decorazione delle nicchie di Orsanmichele. Secondo Vasari e altre fonti cinquecentesche (ma non la biografia di Antonio Manetti), i due ricevettero congiuntamente la commissione per il San Pietro dell'Arte dei Beccai e il San Marco dell'Arte dei Linaioli e Rigattieri, ma Brunelleschi declinò presto l'opera lasciando il campo libero al collega. La critica recente ha invece attribuito il San Pietro, databile al 1412, proprio a Brunelleschi, per l'altissima qualità dell'opera, con il vestito all'antica, come in una delle statue di antichi romani, i polsi magri e tendinosi, come nel Sacrificio di Isacco, le teste con le profonde bozze oculari, le rughe che solcano la fronte e i tratti energici del naso che richiamano i rilievi dell'altare d'argento di San Jacopo a Pistoia[14]. Il San Marco invece, databile al 1413, è opera unanimemente attribuita a Donatello e pare ispirata proprio all'atteggiamento del San Pietro[14].
Alcuni, più prudentemente, preferiscono parlare di un Maestro del San Pietro di Orsanmichele, a cui è attribuita anche la Madonna col Bambino del museo di palazzo Davanzati a Firenze, conosciuta in molte copie tra cui una in legno policromo al Museo del Bargello[14].
Nel 1412 Brunelleschi si trovò a Prato, invitato a dare una consulenza sulla facciata del duomo[15].
Nel 1415 ristrutturò il Ponte a mare a Pisa, ora distrutto, e lo stesso anno fu consultato con Donatello per progettare sculture da collocare sugli sproni del Duomo di Firenze, tra cui una statua gigantesca in piombo dorato, che pare non fu mai realizzata[15].
L'invenzione della prospettiva lineare (1416 circa)
Brunelleschi fu l'inventore della prospettiva a punto unico di fuga, che fu l'elemento più tipico e caratterizzante nelle rappresentazioni artistiche del Rinascimento fiorentino e italiano in generale[16].
Durante la sua formazione giovanile ebbe sicuramente a che fare con nozioni di ottica, comprese quelle di perspectiva, che all'epoca indicava un metodo per calcolare distanze e lunghezze raffrontandole con dimensioni note. Grazie forse all'amicizia con Paolo dal Pozzo Toscanelli Brunelleschi poté ampliare le proprie conoscenze, arrivando a formulare poi le regole della "prospettiva" geometrica lineare centrica come la intendiamo oggi, cioè come metodo di rappresentazione per creare un mondo illusionisticamente reale[16].
Per arrivare a un traguardo così importante, che segnò in modo cruciale la figurazione occidentale, Brunelleschi si servì di due tavolette in legno, costruite entro il 1416, con vedute urbane dipinte sopra, entrambe perdute ma note attraverso le descrizioni che ne fece Leon Battista Alberti[16].
[modifica] Il pannello del Battistero
Il primo pannello era di forma quadrata, con il lato lungo circa 29 cm, e rappresentava una veduta del Battistero di Firenze dal portale centrale di Santa Maria del Fiore. La sinistra e la destra erano scambiate, poiché esso doveva essere guardato attraverso uno specchio, mettendo l'occhio in un foro in basso sull'asse centrale della tavola stessa e tenendo lo specchio con il braccio. Alcuni accorgimenti erano stati presi per dare un effetto naturale all'immagine: il cielo nella tavoletta era rivestito con carta argentata, per poter riflettere la luce atmosferica naturale e il foro era svasato, più largo vicino alla superficie dipinta, più piccolo dal lato dove si appoggiava l'occhio[17].
Innanzitutto Brunelleschi, stando dentro il portale, poteva annotare una "piramide visiva", cioè quella porzione di spazio visibile davanti a lui non nascosta dagli stipiti. Analogamente, se si metteva l'occhio nel foro si generava una piramide visiva, che aveva il centro nel punto esatto del foro. Ciò permetteva di fissare un punto di vista unico e fisso, impossibile da ottenere con le vedute a tutto campo[17].
Per misurare le distanze (tramite il metodo dei triangoli simili, ben noto all'epoca) bastava mettere davanti alla tavoletta uno specchio parallelo e della stessa forma e calcolare quanta distanza serviva per inquadrare tutta l'immagine: più lo specchio era piccolo e più lontano esso doveva essere messo[17]. Si poteva così stabilire un rapporto proporzionale costante tra immagine dipinta e immagine riflessa nello specchio (misurabile tutte le dimensioni), e calcolare la distanza tra gli oggetti reali (il vero Battistero) e il punto di osservazione, tramite un sistema di proporzioni. Da ciò si poteva disegnare una sorta di intelaiatura prospettica utile alla rappresentazione artistica, e inoltre era dimostrato l'esistenza del punto di fuga verso il quale gli oggetti rimpicciolivano[17].
[modifica] Il pannello di piazza della Signoria
Un secondo pannello, dove era presa una raffigurazione di piazza della Signoria vista dall'angolo con via de' Calzaiuoli, era di utilizzo ancora più semplice, poiché non richiedeva l'uso dello specchio (bastava chiudere un occhio) e per questo non era invertita. Sulla tavoletta il cielo sopra gli edifici era stato tagliato via, per cui bastava sovrapporre l'immagine dipinta all'immagine reale fino a farle coincidere e calcolare le distanze. In questo caso era più facile definire la rappresentazione sulla tavoletta entro una piramide visiva, che aveva il vertice sul punto di fuga e la base all'altezza dell'occhio dello spettatore[18].
In entrambi gli esperimenti era data grande importanza al cielo naturale, infatti in quegli anni si maturò la rottura con la tradizione medievale e i suoi astratti fondi oro o, tutt'al più, blu lapislazzuli, in favore di una rappresentazione più realistica[18].
Con questi studi Brunelleschi elaborò il metodo della prospettiva lineare unificata, che organizzava razionalmente le figure nello spazio. Gli storici e teorici successivi sono concordi nel riconoscere a Brunelleschi la paternità di tale scoperta, da Leon Battista Alberti al Filarete, a Cristoforo Landino[18].
Questa tecnica venne adottata anche dagli altri artisti perché si accordava con la nuova visione del mondo rinascimentale, che creava spazi finiti e misurabili in cui l'uomo era posto come misura e centro di tutte le cose[18]. Uno dei primi ad applicare questo metodo in un'opera artistica fu Donatello, nel rilievo del San Giorgio libera la principessa (1416-1417) per il tabernacolo dell'Arte dei Corazzai e Spadai in Orsanmichele[18].
Il concorso per la cupola di Santa Maria del Fiore (1418)
Per approfondire, vedi la voce Cupola del Brunelleschi. |
Già dal primo decennio del XV secolo Brunelleschi ricevette incarichi da parte della Repubblica di Firenze per la costruzione o ristrutturazioni di fortificazioni, come quelle di Staggia (1431) o di Vicopisano, che sono le meglio conservate delle sue architetture militari. Poco dopo iniziò a studiare il problema della cupola di Santa Maria del Fiore, che fu l'opera esemplare della sua vita, dove sono presenti anche intuizioni esplicitate poi in opere future[19].
Brunelleschi era già stato interpellato più volte riguardo alla fabbrica del Duomo: nel 1404 con una commissione consuntiva circa un contrafforte, nel 1410 per una fornitura di mattoni, nel 1417 per non precisate "fatiche durate intorno alla cupola". Tra il 1410 e il 1413 era intanto stato costruito il tamburo ottagonale, alto tredici metri da soffitto della navata maggiore, largo non meno di 42 e con muri spessi quattro metri, che aveva ulteriormente complicato il progetto originario di Arnolfo di Cambio. Una cupola così grande non era mai stata messa in opera dai tempi del Pantheon e le tecniche tradizionali, con le impalcature e le armature di legno, sembravano improponibili per l'altezza e la vastità del foro da coprire. Nessuna varietà di legno avrebbe potuto reggere nemmeno provvisoriamente il peso di una copertura così ampia finché la cupola non fosse stata chiusa dalla lanterna[19].
Il 19 agosto del 1418 venne bandito un concorso pubblico per affrontare il problema della copertura offrendo 200 fiorini d'oro a chi fornisse dei modelli e disegni soddisfacenti per le centine, le armature, i ponti, gli strumenti per sollevare il materiale e quant'altro. Oltre ai problemi tecnici e ingegneristici, la cupola doveva anche concludere armonicamente l'edificio, sottolineandone il valore simbolico e imponendosi sullo spazio urbano e dei dintorni[20]. Dei diciassette partecipanti vennero ammessi a una seconda selezione Filippo Brunelleschi, autore di un apposito modello ligneo, e Lorenzo Ghiberti[21]. Filippo allora perfezionò il suo modello ligneo ("grande come un forno"), apportando variazioni, aggiustamenti e modelli aggiuntivi, per dimostrare la fattibilità di una cupola senza armatura. A fine del 1419, con l'aiuto di Nanni di Banco e Donatello, Brunelleschi inscenò una dimostrazione in piazza del Duomo, realizzando un modello di cupola in mattoni e calcina senza armatura, nello spazio tra il Duomo e Campanile. La dimostrazione impressionò positivamente gli Operai del Duomo e risulta pagato 45 fiorini d'oro, il 29 dicembre 1419[21].
Il 27 marzo 1420 fu sollecitata una consultazione finale, che assegnò infine i lavori (il 26 aprile) a Brunelleschi e Ghiberti, nominati Provveditori della cupola, affiancandoli al capomastro della fabbrica Battista d'Antonio. Lo stipendio era modesto: solo tre fiorini a testa. Il "vice" sostituto di Brunelleschi fu Giuliano d'Arrigo, detto il Pesello, mentre Ghiberti nominò Giovanni di Gherardo da Prato[21]. La decisiva consultazione venne festeggiata con una colazione a base di vino, baccelli, pane e melarance[21].
Lo Spedale degli Innocenti (dal 1419)
Per approfondire, vedi la voce Spedale degli Innocenti. |
Nel 1419 iniziò a lavorare su commissione dell'Arte della Seta allo Spedale degli Innocenti, il primo edificio costruito secondo canoni classici[22]. Esso era un orfanotrofio e Brunelleschi progettò un complesso che riprendeva la tradizione di altri ospedali, come quello di San Matteo (della fine del XIV secolo). Lo schema prevedeva un porticato esterno in facciata, che dà accesso a un cortile quadrato dove si affacciano due edifici a base rettangolare di uguali dimensioni, rispettivamente la chiesa e l'abituro, cioè il dormitorio; nel piano seminterrato si aprono i saloni per l'officina e la scuola. La costruzione venne avviata il 19 agosto 1419 e i pagamenti documentano la presenza di Brunelleschi al cantiere fino al 1427, dopo di che subentrò probabilmente Francesco della Luna. Aggiunte e modifiche al progetto originario di Brunelleschi sono oggi di controversa identificazione, ma sicuramente ci furono e furono rilevanti, come testimonia Antonio Manetti, che riporta varie critiche del maestro ai prosecutori dei lavori. Il portico esterno fu sicuramente opera di Brunelleschi; esso funge da cerniera fra lo Spedale e la piazza ed è composto da nove campate con volte a vela e archi a tutto sesto poggianti su colonne in pietra serena dai capitelli corinzi con pulvino[23].