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Basiliche e Chiese
Da Wikipedia
La basilica di San Pietro in Vaticano è una basilica cattolica della Città del Vaticano, cui fa da coronamento la monumentale Piazza San Pietro.
È la più grande delle basiliche papali di Roma[1], spesso descritta come la più grande chiesa del mondo[2] e centro del cattolicesimo. Non è tuttavia la chiesa cattedrale della diocesi romana poiché tale titolo spetta alla basilica papale di San Giovanni in Laterano che è anche la prima per dignità essendo Madre e Capo di tutte le Chiese dell'Urbe e del Mondo.
In quanto Cappella Pontificia, posta in adiacenza del Palazzo Apostolico, la basilica di San Pietro è la sede delle principali manifestazioni del culto cattolico ed è perciò in solenne funzione in occasione delle celebrazioni per il Natale, la Pasqua ed i riti della Settimana Santa, la proclamazione dei nuovi papi e le esequie di quelli defunti, l'apertura e la chiusura dei giubilei e le canonizzazioni dei nuovi Santi. Sotto il pontificato di Pio IX ospitò le sedute del Concilio Vaticano I e sotto papa Giovanni XXIII e Paolo VI quelle del Concilio Vaticano II.
Storia
La costruzione della basilica
Per approfondire, vedi la voce Antica Basilica di San Pietro in Vaticano. |
La costruzione dell'attuale basilica di San Pietro fu iniziata il 18 aprile 1506 sotto papa Giulio II e si concluse nel 1626, durante il pontificato di papa Urbano VIII, mentre la sistemazione della piazza antistante si concluse solo nel 1667. Si tratta tuttavia di una ricostruzione, dato che nello stesso sito, prima dell'odierna basilica, ne sorgeva un'altra risalente al IV secolo, fatta costruire dall'imperatore romano Costantino I sull'area del circo di Nerone e di una contigua necropoli dove la tradizione vuole che san Pietro, il primo degli apostoli di Gesù, fosse stato sepolto dopo la sua crocifissione. Oggi possiamo solo immaginare l'imponenza di questo edificio, immortalata solo in alcune raffigurazioni artistiche: l'impianto, arricchito nel corso dei secoli con preziose opere d'arte, era suddiviso in cinque navate con copertura lignea e presentava analogie con quello della basilica di San Paolo fuori le mura, aveva 120 altari di cui 27 dedicati alla Madonna.[3]
[modifica] Il coro del Rossellino
Sotto papa Niccolò V (1447-1455), la basilica costantiniana, sopravvissuta ai saccheggi e agli incendi subiti dalla città dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, fu interessata da un progetto di sostanziale trasformazione, affidato a Bernardo Rossellino, che prevedeva il mantenimento del corpo longitudinale a cinque navate coprendolo con volte a crociera sui pilastri che dovevano inglobare le vecchie colonne, mentre veniva rinnovata la parte absidale con l'ampliamento del transetto, l'aggiunta di un coro, che fosse la prosecuzione logica della navata e di un vano coperto a cupola all'incrocio tra transetto e coro. Questa configurazione forse influì in qualche modo sul successivo progetto di Bramante per un rinnovamento totale dell'edificio, che infatti inizialmente conservò quanto già costruito.[4] I lavori iniziarono intorno al 1450, ma con la morte del papa non ebbero ulteriore sviluppo, e furono sostanzialmente fermi durante i pontificati successivi. Una parziale ripresa dei lavori si ebbe tra il 1470 ed il 1471 sotto la direzione di Giuliano da Sangallo, che preparò un progetto di ristrutturazione complessiva per Paolo II, ma senza ulteriore seguito.[5] Nel 1505 le fondazioni e le murature del coro absidale erano alzate fino ad una altezza di 1,75 m circa.
I progetti di Bramante
Il cantiere fu riaperto da Giulio II che probabilmente intendeva proseguire i lavori intrapresi da Niccolò V. Tuttavia nel 1505, forse dietro consiglio di Michelangelo, al probabile fine di dare un grandioso contorno al mastodontico mausoleo che aveva concepito per la propria sepoltura, e comunque all'interno di un clima culturale pienamente rinascimentale che aveva coinvolto la Chiesa, Giulio II decise la costruzione di una nuova colossale basilica.
Il pontefice consultò i maggiori artisti del tempo, tra cui frà Giovanni Giocondo che inviò da Venezia un progetto a cinque cupole ispirato alla basilica di San Marco. I lavori furono affidati a Donato Bramante, da qualche anno giunto a Roma da Milano, che superò il confronto con l'architetto di fiducia del pontefice, Giuliano da Sangallo, affermandosi come il più importante architetto dell'epoca, tanto che a lui fu commissionato anche il disegno del vicino Cortile del Belvedere.
Il dibattito, non privo di polemiche e rivalità, che si svolse nel corso del 1505, si imperniava sull'idea di costruire un edificio a perfetta pianta centrale, condivisa dagli architetti e dagli intellettuali della Curia, tra cui il neoplatonico Egidio da Viterbo.
Bramante non lasciò un unico progetto definitivo della basilica, ma è opinione comune che le sue idee originarie prevedessero un rivoluzionario impianto a croce greca (ideale richiamo ai primi martyrium della cristianità), caratterizzato da una grande cupola emisferica posta al centro del complesso.[6] Tale configurazione si può desumere, in parte,[7] dall'immagine impressa su una medaglia del Caradosso coniata per commemorare la posa della prima pietra del tempio, il 18 aprile 1506, e soprattutto da un disegno ritenuto autografo, detto "piano pergamena" in cui la ricerca del perfetto equilibrio tra le parti portò lo stesso architetto ad omettere persino l'indicazione dell'altare maggiore, segno evidente che gli ideali del Rinascimento erano maturati anche all'interno della Chiesa.
Tale progetto rappresenta un momento cruciale nell'evoluzione dell'architettura rinascimentale, ponendosi come conclusione di varie esperienze progettuali ed intellettuali e confluenza di molteplici riferimenti. La grande cupola era ispirata a quella del Pantheon e doveva essere realizzata in conglomerato cementizio; in generale tutto il progetto riferimento all'architettura romana antica nella caratteristica di avere le pareti murarie come masse plastiche capaci di articolare lo spazio in senso dinamico. I richiami all'architettura romana erano presenti anche nelle grandi volte a botte dei bracci della croce.
La costruzione della nuova basilica avrebbe inoltre rappresentato la più grandiosa applicazione degli studi teorici intrapresi da Francesco di Giorgio Martini, Filarete e soprattutto Leonardo da Vinci per chiese a pianta centrale, le cui elaborazioni sono chiaramente ispirate alla tribuna ottagonale della cattedrale di Firenze.[8] Altri riferimenti vengono dall'architettura rinascimentale fiorentina, ed in particolare con Giuliano da Sangallo che aveva utilizzato la pianta a croce greca ed aveva già proposto un progetto a pianta centrale per la basilica di San Pietro.[9]
Tuttavia non tutti i disegni di Bramante indicano una soluzione di pianta centrale perfetta, segno forse che la configurazione finale della chiesa era ancora questione aperta al momento di iniziare il cantiere.
Il cantiere dal 1505 al 1514
Nei lavori in cantiere, infatti, fu mantenuto quanto costruito dal Rossellino per il coro absidale, anzi proseguendo i lavori della muratura perimetrale con lesene doriche, in contrasto con il progetto del "piano pergamena" a cui quindi nel 1506 Bramante e Giulio II avevano in qualche modo rinunciato. La sola certezza sulle ultime intenzioni di Bramante e Giulio II è la realizzazione dei quattro possenti pilastri uniti da quattro grandi arconi destinati a sorreggere la grande cupola, fin dall'inizio, dunque, elemento fondante della nuova basilica.[10]
Per poter eseguire tali lavori Bramante fece demolire quasi tutta la parte presbiteriale dell'antica e veneranda basilica, suscitando polemiche permanenti fuori e dentro la Chiesa[11], a cui presero parte anche Michelangelo che criticò la distruzione dell colonne[12] e persino Erasmo da Rotterdam. Bramante fu soprannominato "maestro ruinante" e fu dileggiato nel dialogo satirico Simia ("Scimmia") di Andrea Guarna, pubblicato a Milano nel 1517, che racconta come l'architetto, presentandosi da morto davanti a san Pietro, venga da questi rampognato per la demolizione, rispondendo con la proposta di ricostruire l'intero Paradiso.[13]
La forte polemica per il gigantismo del progetto, per la distruzione delle più antiche testimonianze della chiesa e per lo scandalo delle indulgenze che fin dal 1507 Giulio II aveva accordato a coloro che avessero offerto elemosine per la costruzione della basilica, continuò anche dopo la morte del papa ed ebbe un ruolo nella nascita della Riforma protestante di Lutero, che vide i lavori in corso nel suo viaggio a Roma alla fine del 1510.
La morte di papa Giulio II (1513), alla quale fece seguito quella dell'architetto (1514), causò forti rallentamenti al cantiere.
Il cantiere dal 1514 al 1546
Dal 1514, quale successore di Bramante fu chiamato Raffaello Sanzio con Giuliano da Sangallo e Fra' Giocondo. Dopo la morte di Raffaello, dal 1520 subentrò come primo architetto Antonio da Sangallo il Giovane con Baldassarre Peruzzi. Tutti gli architetti sopra riportati approntarono progetti per completare la basilica; si creò pertanto un largo dibattito che di fatto rallentò il cantiere. La maggior parte delle soluzioni proposte per il completamento dell'edificio, compresa quella di Raffaello prevedevano il ritorno ad un impianto di tipo basilicale, con un corpo longitudinale a tre navate, mentre solo il progetto di Peruzzi rimaneva sostanzialmente fedele alla soluzione a pianta centrale. Dopo una ripresa del ritmo dei lavori nel 1525, che permise di terminare la tribuna e portare avanti decisivamente il braccio meridionale (come appare nelle vedute di Maarten van Heemskerck), il Sacco di Roma (1527) fermò il concretizzarsi di questi progetti.
Fu solo sotto papa Paolo III, intorno al 1538, che i lavori furono ripresi da Antonio da Sangallo il Giovane, il quale, intuendo che non avrebbe potuto vedere la fine dei lavori per limiti di età, approntò un grandioso e costoso modello ligneo (oggi conservato nelle cosiddette sale ottagonali che si aprono tra le volte ed il sottotetto della basilica) sul quale lavorò dal 1539 al 1546, avvalendosi dell'aiuto di Antonio Labacco, per illustrare nei minimi dettagli il suo disegno, che si poneva come una sintesi dei precedenti. All'impianto centrale caldeggiato dal Peruzzi si innestava infatti un avancorpo affiancato da due altissime torri campanarie; anche la cupola si allontanava dall'ideale classico del Bramante, elevandosi con una volta a base circolare con sesto rialzato mitigata da un doppio tamburo classicheggiante.
Durante il periodo dal 1538 al 1546, in cui fu responsabile del cantiere, Antonio da Sangallo coprì la volta del braccio orientale, iniziò le fondazioni del braccio nord, rinforzò i pilastri della cupola murando le nicchie previste da Bramante e rialzò la quota di progetto del pavimento[14] creando così le condizioni per la realizzazione delle Grotte Vaticane.
Ancora sopravviveva una parte della navata della vecchia basilica costantiniana, ormai come un'appendice della nuova struttura, dalla quale fu separata nel 1538 da una parete divisoria ("muro farnesiano"), probabilmente per ripararla dal rumore e dalle polveri del cantiere. Sangallo fu anche incaricato del rifacimento del coronamento del campanile medievale che affiancava l'antica facciata, segno forse che non era stato ancora decisa definitivamente la completa demolizione delle preesistenze.[15]
Il progetto di Michelangelo
Dopo Sangallo, deceduto nel 1546, alla direzione dei lavori subentrò Michelangelo Buonarroti, all'epoca ormai settantenne.
La storia del progetto michelangiolesco è documentata da una serie di documenti di cantiere, lettere, disegni dello stesso Buonarroti e di altri artisti, affreschi e testimonianze dei contemporanei, come Giorgio Vasari. Malgrado ciò, le informazioni ricavabili spesso sono in contraddizione tra loro. Il motivo principale risiede nel fatto che Michelangelo non redasse mai un progetto definitivo per la basilica vaticana, preferendo procedere per parti.[16] Tuttavia, dopo la morte di Michelangelo, furono stampate diverse incisioni nel tentativo di restituire una visione complessiva del disegno concepito dall'artista toscano, tra cui quelle di Stefano Dupérac, che subito si imposero come le più diffuse e accettate.[17]
Pertanto, Michelangelo tornò alla pianta centrale del progetto originario, così da sottolineare maggiormente l'impatto della cupola, ma annullando la perfetta simmetria studiata da Bramante con la previsione di un pronao. Questa scelta portò allo scarto dell'idea di Antonio da Sangallo e del suo costosissimo progetto che Michelangelo considerava troppo poco luminoso e stilisticamente scadente. Non mancarono le critiche, sostenute con forza dai sostenitori del modello di Sangallo, primo fra tutti Nanni di Baccio Bigio (a sua volta aspirante alla direzione dei lavori), secondo le quali Michelangelo avrebbe speso più in demolizioni che in costruzioni. Al fine di prevenire il rischio che dopo la sua morte qualcuno alterasse il suo disegno, Michelangelo avviò il cantiere in diversi punti della basilica (ad esclusione della facciata, dove sorgevano ancora i resti della basilica paleocristiana), così da obbligare i suoi successori a continuare la costruzione secondo la sua concezione.
Quindi, all'equilibrio rinascimentale egli contrappose la forza e la drammaticità che derivavano dal suo genio: innanzitutto, sul lato orientale disegnò una facciata porticata sormontata da un attico, dando quindi una direzione principale all'intero edificio; poi, dopo aver demolito parti già realizzate dai suoi predecessori (come il deambulatorio previsto dal Sangallo all'estremità delle absidi), rafforzò ancora le strutture portanti a sostegno della cupola, allontanandole dalle delicate proporzioni bramantesche. Alla pianta di Bramante, con una croce maggiore affiancata da quattro croci minori, Michelangelo sostituì una croce centrata su un ambulacro quadrato, semplificando quindi la concezione dello spazio interno. In questo modo il fulcro del nuovo progetto sarebbe stata la cupola, ispirata nella concezione della doppia calotta a quella progettata da Filippo Brunelleschi per la cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore.
Ciononostante, i sostenitori del progetto di Sangallo avanzarono ancora critiche sull'operato di Michelangelo, senza perdere occasione per mettere in cattiva luce il maestro. Nel 1551 un crollo dovuto ad un errore tecnico del capomastro di fiducia di Michelangelo non fece altro che gettare benzina sul fuoco (c'è chi pensa ad un complotto), ed i lavori subirono un'interruzione. Michelangelo presentò le sue dimissioni nel 1562, allorquando il suo rivale Nanni di Baccio divenne, invischiato com'era nelle speculazioni relative al cantiere, consulente della commissione.
Nel 1564, alla morte dell'artista, la cupola non era stata ancora terminata ed i lavori erano giunti all'altezza del tamburo: fu Giacomo Della Porta (1533 - 1602) ad eseguirne il completamento (1588 - 1590), conferendole un aspetto a sesto rialzato per ridurre le spinte laterali della calotta. All'epoca del Della Porta risalgono anche le cupole minori, prive di funzione strutturale, poste intorno a quella maggiore, la cui concezione fu presumibilmente opera di Jacopo Barozzi da Vignola e Pirro Ligorio. Secondo alcuni studiosi non sarebbe da escludere l'attribuzione allo stesso Ligorio dell'attico che corre alla sommità della basilica, che forse era stato pensato da Michelangelo solo come una semplice superficie liscia.[18]
Uno studio sul riuso di colonne antiche all'interno della basilica, recuperate durante la direzione di Michelangelo, ha mostrato che con ogni probabilità alcune tra le colonne di granito grigio presenti nel transetto e nell'abside di fondo provengono dal Tempio di Venere e Roma.[19]
Il completamento della basilica
Dopo il 1602, papa Clemente VIII affidò la direzione della fabbrica a Carlo Maderno, che fu incaricato di completare la basilica con l'aggiunta di un corpo longitudinale costituito da tre campate e da un portico in facciata. L'opera mutava radicalmente il progetto di Michelangelo e, seguendo le rigide direttive della Controriforma, faceva assumere alla basilica una pianta a croce latina, capace di ospitare un maggior numero di fedeli, ma trasformando la chiesa in uno "strumento di culto di massa"[20] e attenuando anche l'impatto della cupola sulla piazza antistante. Le campate trasformarono il corpo longitudinale della chiesa in un organismo a tre navate, con profonde cappelle inserite lungo le mura perimetrali. Le navate laterali furono coperte con cupole a pianta ovale, incassate nel corpo della basilica e caratterizzate all'esterno solo da piccole lanterne, che avrebbero dovuto essere celate, alla sommità del tetto, per mezzo di numerose cupole ornamentali a pianta ottagonale, non realizzate.
Subito dopo la navata, Maderno realizzò anche la facciata secondo un progetto scelto nel 1607 con un concorso a cui parteciparono anche Domenico e Giovanni Fontana, Girolamo Rainaldi, Giovanni Antonio Dosio e Ludovico Cigoli.[21] Maderno ripropose il prospetto con l'ordine gigante, previsto da Michelangelo per un organismo edilizio sostanzialmente diverso, reinterpretandolo su un unico piano prospettico, senza l'avanzamento del pronao centrale.
La facciata in travertino, iniziata nel 1608, non fu esente da critiche per l'eccessiva larghezza in rapporto all'altezza e apparve subito sproporzionata e piatta[22], malgrado il tentativo, tipicamente barocco, di rafforzarne la plasticità in corrispondenza dell'asse centrale mediante un uso graduale di pilastri, colonne e avancorpi aggettanti. Dopo che era sostanzialmente finita si decise, anche per correggere le sue proporzioni, di costruire anche due campanili affiancati alla facciata. La loro costruzione si interruppe nel 1622 e le due torri rimaste incomplete al primo ordine, finiranno per aumentare le dimensioni orizzontali della facciata,[23]
Successivamente anche Gian Lorenzo Bernini provò a delimitare la facciata con due campanili, per dare un maggior rilievo assiale all'edificio. Tuttavia, approvato il progetto e dato inizio ai lavori, si manifestarono preoccupanti problemi statici alle fondazioni che decretarono la sospensione dei lavori e l'abbattimento di quanto eseguito fino ad allora. Le colonne dell'unico campanile in parte realizzato vennero però reimpiegate per le facciate delle chiese di Santa Maria dei Miracoli e Santa Maria in Montesanto di piazza del Popolo.
Nel tentativo di dare slancio al severo prospetto, Gian Lorenzo Bernini, autore della piazza antistante alla basilica, eseguì una serie di trasformazioni: limitò alla sola parte centrale la scalinata d'ingresso alla chiesa e, davanti ai due archi che avrebbero dovuto sostenere i suddetti campanili, scavò il terreno sottostante, portando il nuovo piano di calpestio quanto più possibile vicino al livello della piazza.
Frattanto, nel 1611 fu data per la prima volta la benedizione papale dalla nuova loggia, mentre nel 1615 la navata poteva dirsi compiuta; la basilica fu consacrata da papa Urbano VIII nel 1626.